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Comunicato stampa | Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione

Lo spettacolo della mafia
La narrazione mafiosa 2.0 tra emoji, meme e serie tv

 

Mercoledì 10 luglio, per Edizioni Gruppo Abele, esce in libreria Lo spettacolo della mafia. Storia di un immaginario tra realtà e finzione, di Marcello Ravveduto. Dal cinema alle serie tv, passando per internet e i social media fino ai negozi di moda, il volume analizza la costruzione e l’evoluzione della narrazione mafiosa attraverso la comunicazione nel nuovo millennio.

Creare leggende

Osso, Mastrosso e Carcagnosso: per molti sono nomi che non vogliono dire nulla. Per chi vive immerso nella mitografia criminale, però, questi sono personaggi leggendari, tre cavalieri spagnoli che fondarono le maggiori organizzazioni mafiose dando vita al loro articolato codice d’onore, omertà e ritualità. Eroi inesistenti, ovviamente, ma che incarnano molto bene il concetto stesso di immaginario mafioso. Lo dice anche Enzo Ciconte nella prefazione: «Nessun mafioso che si rispetti ha mai abbandonato il pensiero che è necessario costruire attorno a sé consenso, adesione convinta, condivisione e convenienza, perché la paura e il terrore non sono mai stati sufficienti, da soli, a garantire la sopravvivenza». Ma se prima l’immaginario si nutriva di racconti orali di eroi antichi e moderni, oggi il terzo millennio porta con sé nuovi media che necessitano di narrazioni aggiornate. È la Google generation dei mafiosi 2.0, quella che utilizza WhatsApp e le condivisioni sui social network per narrare sé stessi e creare leggende, consenso, miti e personaggi. Così Genny Savastano, antieroe di Gomorra, diventa un meme da condividere su Facebook insieme a frasi sull’onore e il coraggio, e l’emoji di una siringa con la goccia di sangue identifica la trasfusione e quindi il legame indissolubile con i fratelli del proprio clan. Tony Montana sullo stesso piano di Totò Riina, lo smoking di don Vito Corleone come esempio di estrema eleganza e rispettabilità. Un rimescolamento di realtà e finzione per riconoscersi e creare una «comunità immaginata», distinguibile dentro e fuori.

La mafia è Public History

Marcello Ravveduto applica il rigoroso metodo scientifico della Public History per analizzare la moderna mitopoiesi mafiosa attraverso i nuovi mezzi di comunicazione: «non possiamo ignorare che i new media hanno ridefinito gli orizzonti spaziali e temporali; hanno contribuito a ricodificare l’immaginario collettivo, mutando il nostro rapporto con la realtà». Dalla nascita della letteratura di genere fino ai mafia movie (genere nato con Il giorno della civetta di Damiano Damiani), passando per le serie televisive, la musica neomelodica, i social network e il made in mafia nella moda e nella cucina, Ravveduto esamina l’immaginario mafioso ben oltre quello delle stragi e della violenza per il controllo del territorio. Una quantità inesauribile di stereotipi e immagini che travalica i confini locali e approda nelle pubblicità, nella musica, nei ristoranti. «Gli spettatori non conosceranno mai personalmente un mafioso, né lo incontreranno, eppure nella loro mente l’immagine delle mafie è più che reale».

L’autore

Marcello Ravveduto insegna Digital Public History alle Università di Salerno e di Modena e Reggio Emilia. È consigliere direttivo dell’Associazione italiana di Public History e del comitato scientifico della Biblioteca digitale sulla camorra e sulla cultura della legalità dell’Università Federico II di Napoli, oltre che direttore scientifico della Galleria virtuale sulle mafie e l’antimafia nella Casa/Museo Joe Petrosino. Tra i suoi scritti, Il sindaco gentile. Gli appalti, la camorra e un uomo onesto. La storia di Marcello Torre (Melampo, 2016), La nazione del miracolo. L’Italia e gli italiani tra storia, memoria e immaginario (Castelvecchi, 2018).

IL LIBRO

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