Editoriale

Da Marzabotto a Gaza, la memoria non basta – di Lorenzo Guadagnucci

Sacrario di Marzabotto

La visita a Marzabotto del presidente tedesco Frank Walter Steinmeier, accompagnato da Sergio Mattarella in occasione dell’80esimo anniversario dell’eccidio nazista, ripropone il tema dei “conti con la storia“, cioè col nazismo e col fascismo, fatti o – spesso – non fatti da Germania e Italia. Ma riguarda anche il senso attuale e, forse, il fallimento della memoria delle stragi nazifasciste, in un’Europa ormai coinvolta in nuove “guerre contro i civili“.

Fare i conti con la storia

Sul primo punto, i conti con la storia, va ricordato ancora una volta che nonostante la benevolenza di una certa vulgata, a Berlino come a Roma la continuità dello Stato dopo la fine della seconda guerra mondiale – nelle persone e anche nella cultura di riferimento – fu ben più stringente di quanto si è voluto ammettere: le dolorose vicende dei crimini di guerra, con il difficile percorso della giustizia, ne sono stati la logica derivazione.

I mancati processi nell’immediato dopoguerra e l’illegale archiviazione provvisoria dei fascicoli sulle stragi nel cosiddetto “armadio della vergogna” corrispondevano a una precisa esigenza politica: serrare i ranghi dell’occidente e sostenere la Germania federale come baluardo contro il comunismo. Aprire dei processi per crimini di guerra contro militari ed ex militari tedeschi, si pensava nelle cancellerie occidentali, avrebbe destabilizzato il nuovo stato, al cui interno avevano peraltro trovato ottime posizioni numerosi ex gerarchi nazisti. Meglio non stuzzicare certi delicati equilibri.

L’Italia, oltretutto, si trovava in un posizione peggio che scomoda, dovendo a sua volta rispondere a numerose richieste di estradizione di suoi ufficiali ed ex ufficiali, accusati di crimini di guerra e contro l’umanità per gli eccidi compiuti dal nostro esercito in Grecia, Albania, Jugoslavia, Etiopia. Meglio mettere tutto a tacere, insomma, e rinunciare alla giustizia, lasciando i superstiti delle stragi e i familiari delle vittime a fare i conti privatamente col proprio dolore e le proprie frustrazioni.

I processi degli anni Duemila, avviati principalmente dal procuratore militare della Spezia, Marco De Paolis, hanno poi rimediato a questo vulnus, ma sessant’anni di silenzi e di abbandono non potevano essere cancellati del tutto: una scia di rancore e delusione è rimasta nelle popolazioni. La Germania, oltretutto, con vari cavilli giuridici, ha rifiutato le sentenze di condanna emesse in Italia per Sant’Anna di Stazzema, Monte Sole-Marzabotto e le altre stragi, dimostrando ancora quanto sia esile l’assunto secondo il quale avrebbe davvero fatto pienamente i conti con l’eredità nazista. Berlino ha anche rifiutato di farsi carico dei risarcimenti, trovando un discutibile accordo diplomatico con l’Italia in base al quale sarà lo Stato italiano a corrispondere le (magre) compensazioni che i giudici civili prevedibilmente accorderanno.

Memoria delle stragi

Il rincrescimento e la vergogna espressi a Marzabotto dal presidente Steinmeier sono sicuramente sinceri e anche le parole di Sergio Mattarella sono quelle di un uomo di Stato consapevole del disastro che ci circonda. Tuttavia è necessario interrogarsi sul peso attuale della memoria delle stragi, che pure è uno degli elementi fondativi della nostra democrazia, uno dei pilastri della Costituzione e dello stesso assetto sovranazionale scaturito dalla seconda guerra mondiale. Le Nazioni Unite, la Dichiarazione dei diritti umani, le  nuove formulazioni del diritto internazionale nacquero al preciso scopo di fornire strumenti di prevenzione delle guerre, affermando anche un principio di valore mai espresso prima: tutte le vite contano, nessuna esclusa. Un principio calpestato nelle guerre del ‘900, che sono state principalmente delle guerre contro i civili. Nelle stragi nazifasciste in Italia e nel resto d’Europa, ma anche nei bombardamenti aerei su innumerevoli città e centri abitati, per non dire della Shoah – crimine  fra i crimini  – le “vite degli altri” venivano annientate con noncuranza, senza rimorso, ridotte a pura contabilità.

La memoria non basta

A distanza di decenni, s’impone il confronto col presente; un confronto doloroso. La verità è che di fronte agli eccidi del nostro tempo – quello di Bucha, per citare il più conosciuto fra quelli commessi in Ucraina dalla Russia di Putin, e quelli compiuti su scala industriale dallo Stato di Israele nella Striscia di Gaza dopo l’altro orribile eccidio compiuto da Hamas il 7 ottobre 2023 –  la memoria delle stragi si è rivelata ben poca cosa. Non ha ispirato, in alcun momento, l’azione degli Stati occidentali, per quanto questi abbiano ricostruito la propria dignità democratica sulle macerie materiali ma anche ideologiche e morali della Seconda guerra mondiale.

I luoghi della memoria, che pure ci sono cari e che celebriamo a ogni ricorrenza, stanno diventando luoghi nei quali si compiono esercizi di retorica o, nel migliore dei casi, attività di risveglio delle migliori intenzioni, ma non hanno alcun peso nelle decisioni politiche concrete. Non le ispirano, non le orientano. Da questi luoghi, che si dichiarano e si vogliono operatori di pace tramite le istituzioni che ne sono custodi, non è partita una mobilitazione reale per imporre alle democrazie occidentali di agire per fermare la guerra in corso da oltre due anni in Europa, e niente è accaduto nemmeno di fronte alle stragi di Gaza, rispetto alle quali, semmai, sta subentrando una certa assuefazione, sia nelle diplomazie, sia nelle opinioni pubbliche. Un’accettazione silenziosa del fatto compiuto, delle “vite degli altri” annientate con noncuranza.

Eppure quel che avviene nella Striscia, e ora anche in Libano e altrove, è fatto in qualche modo anche a nostro nome, visto che Israele fa parte del mondo occidentale, milita nel campo delle democrazie ed è armato, oltre che sostenuto politicamente, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Sono stati lasciati cadere nel vuoto anche gli atti e i pronunciamenti del consiglio di sicurezza dell’Onu, della Corte internazionale di giustizia, del Tribunale penale internazionale, istituzioni che dovrebbero presidiare e tutelare la legalità internazionale.

Commemoriamo le stragi di ottant’anni fa, quando fummo vittime della guerra contro i civili e del disprezzo per le vite altrui (per determinate vite altrui, in quel caso le nostre), e intanto permettiamo che altre stragi, ancora più gravi, avvengano con la nostra approvazione, complicità, sostegno, nel nostro silenzio.

La memoria collettiva è un importante elemento dell’identità di un popolo e delle sue istituzioni, ma può svuotarsi, diventare pura forma priva di sostanza. Quando questo avviene, scatta il momento di ricostruire la memoria, a partire stavolta dal basso, con umiltà, ma con determinazione. Quel momento probabilmente è arrivato.

Lorenzo Guadagnucci

PER APPROFONDIRE

Camminare l'antifascismo - La memoria come ribellione all'ordine delle cose
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