C’è un calciatore uruguaiano, Luis Suárez, ricco e famoso che sa a malapena dove si trova il nostro Paese e che, per trasferirsi in un club ancora più ricco e famoso, ha bisogno della cittadinanza italiana (a cui può accedere, se conosce la nostra lingua, grazie a una legislazione arcaica e all’albero genealogico della moglie).
E c’è una prestigiosa Università italiana che, non importa se per ragioni venali (id est corruzione) o per accrescere il proprio palmares, utile ad attirare studenti dall’Italia e dall’estero, è disponibile a concedergli, all’esito di un esame farlocco, un attestato di conoscenza della lingua assai benevolo se non totalmente falso.
Il cosiddetto caso Suarez è tutto qui, nell’incontro – osannato dai media – tra queste due “esigenze”. Parallelamente ci sono centinaia di migliaia di italiani di adozione, che vivono e lavorano nel nostro Paese, curano i nostri bambini, i nostri anziani e le nostre case e che la nostra lingua la parlano davvero, magari con accento romanesco o veneto, per i quali la cittadinanza resta un miraggio.
È il mondo all’incontrario.
La vicenda mi ha fatto tornare alla mente una poesia di Bertolt Brecht, Il giudice democratico, del 1934:
A Los Angeles davanti al giudice che esamina coloro
che vogliono diventare cittadini degli Stati Uniti
venne anche un oste italiano. Si era preparato seriamente
ma a disagio per la sua ignoranza della nuova lingua
durante l’esame alla domanda:
che cosa dice l’ottavo emendamento? rispose esitando: 1492.
Poiché la legge prescrive al richiedente la conoscenza della lingua nazionale,
fu respinto. Ritornato dopo tre mesi trascorsi in ulteriori studi
ma ancora a disagio per l’ignoranza della nuova lingua,
gli posero la domanda:
chi fu il generale che vinse la guerra civile? La sua risposta
fu: 1492 (con voce alta e cordiale). Mandato via
di nuovo e ritornato una terza volta,
alla terza domanda: quanti anni dura in carica il presidente?
rispose di nuovo: 1492.
Orbene il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, capì che non poteva
imparare la nuova lingua, si informò sul modo
come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro. E allora
alla quarta seduta il giudice gli pose la domanda:
quando fu scoperta l’America? e in base alla risposta esatta,
1492, l’uomo ottenne la cittadinanza.
C’è, nel paradosso della poesia, un passo importante: «il giudice, che aveva simpatia per l’uomo, si informò sul modo come viveva e venne a sapere: con un duro lavoro». Il giudice di Brecht non regala nulla: vuole conoscere e immergersi nella realtà per applicare la legge adeguandola a valori fondamentali di giustizia e solidarietà.
Superfluo dire che, con questo, il caso Suarez non ha proprio nulla a che fare.
Livio Pepino