Anche i ricchi rubano
«La serva è ladra, la padrona è cleptomane»
Mercoledì 1 aprile, per Edizioni Gruppo Abele, esce nel solo formato ebook Anche i ricchi rubano, di Elisa Pazé. La disparità di trattamento dei reati dei ricchi e quelli dei poveri davanti alla giustizia, analizzata dal sostituto procuratore della Repubblica di Torino.
Se hai soldi non vai in galera
La giustizia persegue alla stessa maniera i poveri e i potenti? Se l’articolo 3 della Costituzione italiana sancisce che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge», è però chiaro che la disponibilità economica e le posizioni di potere fanno la differenza.
Il codice penale mette particolare risalto ai reati di strada – omicidi, rapine, spaccio, per fare alcuni esempi – puniti con pene molto severe e spesso con la detenzione; tuttavia, lo stesso codice non pone altrettanta enfasi sui classici reati degli imprenditori – fiscali, fallimentari, societari – che vengono puniti più blandamente e con leggi a parte: chi dopo avere mangiato in un ristorante se ne va senza pagare è perseguibile anche se si tratta di pochi euro; chi non presenta la dichiarazione dei redditi viene incriminato unicamente se l’imposta dovuta supera i 50.000 euro. Una bella differenza.
Ma la situazione è anche più complessa: «anche la procedibilità a querela per alcuni delitti che, per loro natura, vengono commessi indifferentemente dalle classi “pericolose” e da quelle “non pericolose”, come la violenza sessuale, è stata pensata per consentire a chi ha soldi di rimediare evitando il processo». Un intero impianto ideologico, quindi, che nutre il pregiudizio per il quale i delinquenti siano solo i poveri e gli emarginati: un’associazione mentale biunivoca fra miseria e criminalità.
Reati senza conseguenze
Eppure i delitti dei potenti hanno un impatto più profondo e a lungo termine sull’intera società. Basti pensare ai reati ambientali, o alle morti sul lavoro, che siano per malattie professionali o per l’inadeguatezza delle misure di sicurezza: temi a cui è dedicato l’intero capitolo Gli omicidi dei ricchi. O alle centinaia di milioni di euro di denari pubblici sottratti alla collettività dall’evasione fiscale ogni anno. O, ancora, alle truffe ai danni dei risparmiatori da parte di alcuni istituti bancari. Una serie interminabile di comportamenti delittuosi da parte dei colletti bianchi che, però, difficilmente vengono perseguiti dalla giustizia: «Le rapine sono considerate più gravi delle morti sul lavoro e l’immigrazione irregolare di stranieri più dannosa del pagamento di tangenti». Una disparità di trattamento che ha origini antiche – i poveri facevano risse, i ricchi “duelli” – e dovuta a molti fattori. Se i reati dei poveri sono di immediata percezione, come una rapina a mano armata, le condotte criminose dei potenti sono più originali e sfumate nel tempo. Delitti più sfuggenti, a cui è difficile dare un volto o una collocazione temporale precisa, ma dalla conclamata pericolosità.
«Eppure ai ricchi si perdona qualsiasi cosa», come dice l’autrice nell’introduzione.
L’autrice
Elisa Pazé è magistrato e sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Torino, dove si occupa di reati economici. Sulle diseguaglianze nel trattamento penale ha già pubblicato Giustizia, roba da ricchi (Laterza, 2017).