Editoriale

Sui disturbi alimentari l’ambivalenza della politica fa solo male – Il commento di Spalatro e Zamburru

Sui disturbi alimentari l’ambivalenza della politica fa solo male – Il commento di Spalatro e Zamburru

Il Governo ha deciso di non rinnovare il finanziamento ai progetti di contrasto ai disturbi dell’alimentazione e della nutrizione, conclusi col biennio 2022-2023. O meglio, avrebbe deciso di non rinnovarlo ma, a seguito di una valanga di critiche partite dal basso, da associazioni, realtà e singole perone che si trovano a vivere i DCA e le loro ricadute, il ministro della salute Orazio Schillaci ci ha ripensato: nel decreto Milleproroghe ha stanziato 10 milioni di euro (ma per il solo 2024).

Abbiamo chiesto un commento ad Angela Spalatro e Ugo Zamburru, autrice e autore di Storie di ragazze che non volevano essere belle.


L’ambivalenza sui disturbi alimentari

L’ambivalenza è un meccanismo psicologico del profondo che sottende la coesistenza di due istanze in contraddizione tra di loro ma con la medesima valenza. Si tratta, tecnicamente, di due bisogni tendenzialmente opposti ma di uguale misura ed importanza, che danno alla persona quella angosciante sensazione di essere tirata da due forze uguali ma contrastanti. Voglio farlo ma non voglio farlo, voglio partire ma anche restare. Riguarda in misura e intensità diversa ciascuno di noi.

Nei disturbi alimentari questo aspetto trova una delle sue massime espressioni sintomatiche e patologiche: voglio vivere e sto bene, in realtà mi dirigo verso una morte certa con un sintomo e sto molto male. O ancora: lasciatemi in pace, mi oppongo alle cure ma vi prego fermatemi da me stessa e guaritemi!

Moderni Karate Kid

Pare che l’ambivalenza abbia contagiato anche la politica e le istituzioni che si trovano a occuparsi di disturbi dell’alimentazione e della nutrizione (o DCA): questi disturbi sono investiti di una gravità e un’attenzione tale da prevedere finanziamenti e manovre per 25 milioni di euro nel biennio 2022/2023 e, contemporaneamente, situazioni non più degne di essere supportate specificamente, come proposto dal Ministero della salute.

Il ministro Schillaci ha egli stesso dimostrato un’ambivalenza senza eguali: a seguito di una rivolta partita dalle associazioni e dai familiari ha descritto i DCA come talmente importanti da inserirli nei LEA, i livelli essenziali di assistenza che il Servizio sanitario è tenuto a fornire a tutti i cittadini. Un atteggiamento completamente ambivalente: un ministro della salute che, come moderno Karate Kid, “mette la cera e toglie la cera”!

Disturbi dell’alimentazione: malattia sociale?

Leggiamo che i DCA vengono descritti come malattie sociali ed epidemiche, che colpiscono più di 3 milioni di persone nel nostro Paese.  I dati sono allarmanti e restano tali. Se questo è vero in parte, va di fatto decodificato per chi non è del settore.

Da clinici, sosteniamo l’importanza di creare attorno al disagio una rete di aiuti stabili nel tempo, versatili e capaci di rispondere ai bisogni della persona in ogni momento del proprio percorso di cure. Una rete che coinvolga non solo gli psichiatri ma anche le famiglie, i tecnici dietisti, l’intero sistema sanitario e le stesse istituzioni. Per fare questo serve tempo: creare il substrato per una comunità di appartenenza all’interno della quale ciascuno si occupi di parti diverse di quella sofferenza può richiedere mesi, addirittura anni. Il sistema curante deve prendersi carico di quella ambivalenza senza negarla, e accompagnare la persona sofferente verso una sintesi di quegli opposti. Per questi motivi, il finanziamento per un solo anno – e nel 2025 chissà, vedremo – è quasi offensivo.

Spostare lo sguardo al profondo

A tal proposito, il punto nodale del dibattito e della rivolta dal basso a sostegno della prosecuzione dei finanziamenti a questi specifici progetti non è finanziare o non finanziare (a proposito di ambivalenza) le realtà che si occupano di disturbi dell’alimentazione; così come, da un punto di vista clinico, il problema dei disturbi alimentari non è mangiare o non mangiare, voler guarire o non volerlo fare. Bisogna addentrarsi nei significati e nelle motivazioni che sostengono i finanziamenti e in quelli che ne sostengono la non prosecuzione.

La sensazione, da spettatori attivi rispetto al problema, è che le due forze opposte si riducano a “sono problemi gravissimi e dilaganti” da un lato e “sono problemi sociali legati alla cultura di massa” dall’altro (non a caso uno degli articoli introdotti parla di “pena legata all’istigazione“). È più facile ridurre tutto il discorso a una mera questione di soldi; più difficile è interrogarsi su come le istituzioni possano agire su educazione e formazione, oltre che sulle realtà sanitarie, per sostenere le persone e, magari, contribuire a invertire la tendenza.

Dallo scontro alla guarigione

Il dibattito politico di queste settimane riprende quello che succede all’inizio dei percorsi di queste ragazze nelle loro famiglie: lo scontro frontale prima, la ricerca delle cause dopo e, sempre, l’estrema difficoltà a spostarsi su un piano più profondo rispetto alla sofferenza che i comportamenti nascondono.

Allo stesso modo la politica rischia di impantanarsi su finanziamenti sì – finanziamenti no, perdendo di vista quello che sta succedendo: la sofferenza e il disagio rischiano di portarci via il futuro, incarnato proprio da queste ragazze e da questi ragazzi.

L’invito è a cooperare e addentrarci in questa prospettiva con coraggio e responsabilità da parte di tutti. Operatori della salute, famiglie, cittadini e cittadine.

 

Angela Spalatro e Ugo Zamburru

PER APPROFONDIRE

Storie di ragazze che non volevano essere belle, Angela Spalatro, Ugo Zamburru
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