La notizia è nota: gli Stati Uniti hanno annunciato di aver per la prima volta ottenuto energia in forma controllata in un esperimento di fusione nucleare. La fusione nucleare è una reazione che si basa sulla fusione di due nuclei atomici: in questa reazione si rilascia una grande quantità di energia e si ottiene, come prodotto di scarto, un atomo più pesante ma innocuo (l’elio). Tutto il contrario della reazione di fissione nucleare – quella attualmente utilizzata nelle centrali nucleari – in cui un atomo pesante viene spezzato ottenendo due atomi più leggeri (e radioattivi) e molta energia.
Due approcci alla fusione nucleare
Ricerche sulla possibilità di utilizzare a fini pacifici la fusione nucleare sono in corso da molti decenni ormai. Si perseguono principalmente due approcci. Uno si basa sul confinamento magnetico del plasma caldissimo (circa 200 milioni di gradi) in cui far avvenire la fusione tra i due isotopi dell’idrogeno, deuterio e trizio, necessari per la fusione. Con questo metodo è stato ottenuto un risultato positivo il 21 dicembre 2021, quando dal reattore a fusione JET (Joint European Torus), a Culham in Inghilterra, è stato possibile estrarre energia per 5 secondi consecutivi. Usando unità da bolletta domestica si è trattato di circa 16 kWh; l’energia spesa per ottenere il risultato è stata però di più di quella ottenuta.
L’altro approccio è quello basato sul confinamento inerziale che consiste nel bombardare un piccolo contenitore contenente una miscela solidificata (in quanto freddissima) di deuterio e trizio con dei potenti fasci laser: si verifica una intensissima compressione che contestualmente fa salire la temperatura fino a una sessantina di milioni di gradi, tanto da innescare la fusione. La notizia comparsa in questi giorni sui mezzi di comunicazione ha annunciato che in questo modo il 5 dicembre scorso al Lawrence Livermore National Laboratory americano si è riusciti ad estrarre circa 0,8 kWh; la novità è che questa volta l’energia lorda prodotta è stata di più di quella iniettata dai 192 laser utilizzati.
La ricerca va avanti, ma il clima è più veloce
Passi avanti nella ricerca, dunque, ma siamo molto lontani dall’applicazione pratica. Le dichiarazioni ufficiali parlano di decenni prima che un reattore commerciale possa entrare in funzione e così si diceva già negli anni ‘70. Il tracollo climatico, se non si riduce drasticamente il consumo di energia e in particolare quella da combustibili fossili, arriverà ben prima di qualsiasi concreto reattore a fusione. In compenso, il mito della fusione potrebbe servire da alibi per non cambiare nulla nelle strutture di una economia profondamente insostenibile oltre che iniqua.
Il ritornello è sempre lo stesso: la ricerca della fonte dell’infinita energia pulita (rilanciata anche questa volta dai titoli di stampa) che finalmente consentirà di alimentare la crescita perpetua senza effetti collaterali. Ahimè, però:
a) la fusione non è comunque una fonte illimitata (fattore limitante: il litio-6 da cui si ricaverebbe il trizio, contestualmente liberando elio);
b) i neutroni prodotti dalla fusione inducono radioattività nei materiali che li assorbono;
c) comunque solo circa un terzo del calore prodotto dalla fusione diverrebbe energia elettrica, il resto dovrebbe essere smaltito nell’ambiente (come avviene in tutte le grandi centrali termiche).
C’è poi anche il fatto che l’innocuo elio (prodotto dalla fusione e dalla filiera del trizio) si accumulerebbe in atmosfera; oggi ce n’è circa 5 parti per milione (ppm) (per la CO2 sono oltre 400); verosimilmente se si passasse alle decine di ppm le proprietà generali dell’atmosfera (e quindi il sistema climatico) ne risentirebbero.
Ma cosa non si farebbe per (illudersi di) cambiar tutto senza dover cambiare niente.
In copertina, foto di Rafael Classen rcphotostock.com