Il termine sicurezza si è spogliato, ormai da parecchi anni, delle caratteristiche sociali cui era legato (lavoro, salute, diritti): oggi ci si sente al sicuro con condizioni che ci proteggono individualmente dal rischio di diventare vittime di comportamenti dannosi. Da qui l’assunto che tutte e tutti siamo vittime potenziali; quindi fenomeni sociali complessi vengono governati con il codice penale e, di fatto, si criminalizza la povertà, la marginalità sociale, l’immigrazione.
Ma com’è successo tutto questo? E soprattutto, com’è successo che a questa deriva securitaria aderiscano «movimenti politici il cui obiettivo è la libertà dallo sfruttamento, dall’oppressione, dalla violenza dei gruppi di cui si fanno portavoce? Perché, in particolare, questo succede in un movimento come quello femminista, che è ri-nato (in Italia, ma non solo) contro la rappresentanza (ognuna parla per sé, a partire da sé), nel contesto delle spinte antiautoritarie degli anni Sessanta?».
Lo abbiamo chiesto a Tamar Pitch, giurista e ricercatrice che nel corso della sua attività si è molto occupata del legame fra genere e diritto. Ne è nato un libro – Il malinteso della vittima – che approderà in libreria a settembre 2022.
Proponiamo qui un estratto, il Poscritto del 25 giugno 2022, in cui l’autrice commenta l’assurda sentenza della Corte suprema statunitense che ha di fatto abolito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza negli Stati Uniti, rimettendo la legislazione sull’aborto ai singoli Stati federali.
Poscritto, 25 giugno 2022
Ed eccoci qua, la Corte Suprema degli Usa ha rovesciato la sentenza Roe vs Wade (1973), che tutelava l’autodeterminazione delle donne rispetto al proprio corpo, ossia riconosceva il diritto all’interruzione della gravidanza. Molti Stati Usa hanno già varato leggi restrittive in materia e si accingono con ogni probabilità a legiferare un divieto pressoché assoluto, e altri si preparano a farlo. Ma c’è di peggio. In un articolo, Jia Tolentino1 mostra come, negli Stati Uniti, si stia andando velocemente verso la sorveglianza stretta delle donne supposte incinte, nonché dei loro medici, farmacisti, parenti e amici, rischiando la criminalizzazione laddove si sospetti che le donne abbiano abortito. Più del 90% degli aborti Usa avvengono servendosi di pillole abortive (Misoprostol), l’acquisto delle quali, anche via internet, è già illegale in alcuni Stati ed è plausibile che lo sarà in molti altri. Tolentino racconta la storia di una donna nera del Mississipi, madre di tre figli, indagata e messa sotto processo per aver dato alla luce un neonato morto: il sospetto, appunto, era che si fosse servita di queste pillole. Dice Tolentino:
le donne che non hanno la possibilità e il denaro di viaggiare verso uno Stato in cui l’aborto è ancora legale, e che potrebbero temere le conseguenze di cercare una conferma clinica della propria età gestazionale, ordineranno le pillole abortive senza sapere per certo a che stadio sono… Le donne che vivono negli Stati proibizionisti che volessero cercare consulenza medica dopo un aborto autoprocurato si troveranno a scegliere tra rischiare la propria vita o la prigione.
È evidente che la sparizione del baluardo costituzionale penalizzerà soprattutto le donne povere e razzializzate, quelle che non potranno spostarsi in altri Stati per abortire, ma dal punto di vista politico e simbolico, oltre che sociale, questa decisione impatterà su tutte (e tutti): se «il feto è una persona, allora può ben essere inventato uno schema giuridico secondo cui chiunque ospiti in grembo una “persona” deve far qualsiasi cosa per proteggerla». Leggi di questo tipo sono già state emanate in Georgia e Alabama:
queste leggi legittimano la criminalizzazione della gravidanza, in base a cui le donne incinte possono essere arrestate, detenute, poste sotto sorveglianza statale se sospettate di azioni potenzialmente nocive per il feto.
A dire il vero, questo è già successo: ne parlo in un mio libro del 19982, ma adesso è evidente che non saranno più casi singoli o eccezioni. E ricordiamo che norme altrettanto feroci sono in vigore in Polonia, dove le donne incinte malate di cancro non ricevono le cure, per non danneggiare il feto!
Kirill è dunque in ottima compagnia, e se l’attuale è una «guerra di civiltà», le supposte «civiltà» che si scontrano non sono con tutta evidenza l’Occidente «democratico» e il resto «autocratico». C’è invece un’alleanza trasversale che mostra ancora una volta come la vera guerra mondiale sia una guerra contro le donne3 e per il loro controllo.
[1] J. Tolentino, We are not going back to the time before Roe. We are going somewhere worse, in The New Yorker, 24 giugno 2022
[2] T. Pitch, Un diritto per due, cit.
[3] R.L. Segato, La guerra contra las mujeres, Tinta Limòn – Traficantes de suenos, Madrid, 2017
La foto di copertina è di Derek French, licenza CC, https://www.pexels.com/it-it/foto/uomo-persone-donna-caffe-12616196/