Tomaso Montanari torna a riflettere sul ruolo degli e delle intellettuali nella società: è giusto che si schierino? E se sì, da che parte?
Lo fa in Cassandra è ancora muta, nuova edizione di Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità, pubblicato nel 2017. Una versione riveduta che, a conclusione del testo originale, aggiorna e attualizza il volume alla luce di diversi fatti che dal 2017 a oggi hanno completamente ribaltato il mondo e il nostro Paese.
Pubblichiamo di seguito la premessa alla nuova edizione e l’introduzione originale del 2017.
Cassandra è ancora muta
Premessa alla nuova edizione
In questi cinque anni, mi è capitato spesso che, alla fine di presentazioni di miei libri usciti successivamente, mi venissero incontro lettrici e lettori con in mano una copia di Cassandra muta. Il punto, mi dicevano quasi con le stesse parole, è sempre questo: chi parla contro il sistema non è tollerato. Il pensiero critico è il nemico. Basterebbero a dimostrarlo l’oscena persecuzione americana contro Julian Assange o la compiacenza occidentale verso il regime arabo che ha fatto letteralmente a pezzi un giornalista dissenziente.
Il pensiero critico è il nemico
Proprio così: il pensiero critico è il nemico. È difficile negare che sia vero. E gli eventi, globali e italiani, di questi ultimi anni, non hanno fatto che confermarlo. La pandemia ha generato una diffusa insopportazione per chiunque provasse a suggerire che l’emergenza poteva essere governata diversamente. E ora, con la guerra in Ucraina, si è manifestato un Occidente pronto a sfidare il resto del mondo su basi “etiche”: o con noi, o contro di noi. È l’annuncio di una stagione infernale, e le liste di proscrizione degli intellettuali e giornalisti sospetti di intelligenza col nemico sembrano solo l’inizio di una nuova, grande ondata di intolleranza verso ogni dissenso. In Italia, poi, l’avvento di un governo oligarchico- paternalista calato dall’alto (sul quale ho scritto Eclissi di Costituzione. Il governo Draghi e la democrazia, Chiarelettere, 2022) e l’avvicinarsi al potere di una destra ancora fascista fanno di chi pensa “diversamente”, e non si rassegna al silenzio, un nemico naturale.
Se Cassandra è muta, la democrazia soffre
In questi anni, ho pagato un prezzo per l’espressione del mio dissenso. Per aver contestato la canonizzazione civile di Franco Zeffirelli o l’istituzione del Giorno del Ricordo, per aver espresso il mio dissenso verso l’operazione Draghi guidata dal presidente Mattarella o anche solo perché un mio testo è uscito tra quelli da commentare alla maturità, mi sono trovato al centro di campagne violente guidate dai capi stessi di alcuni dei principali partiti italiani. E ho perso il conto delle querele, penali e civili, con le quali si è provato a farmi tacere.
Il risultato è che sono sempre più convinto della necessità di non tacere: se Cassandra resta muta, per la democrazia non c’è speranza.
Da qui la decisione di ripubblicare questo libro così com’era, pur sapendo che alcuni passaggi potranno apparire legati al contesto in cui esso fu scritto. Ho dunque aggiunto una postfazione, per mostrare come anche negli eventi degli ultimi anni, e in quelli ancora in corso, il pensiero dissenziente sia ancora e sempre il nemico principale del potere. Il messaggio di fondo del libro resta terribilmente attuale: oggi abbiamo ancora più bisogno di un’altra politica. Mostrare ostinatamente che il re è nudo, e che un’alternativa è dunque necessaria, è la premessa indispensabile perché quella politica nuova, prima o poi, si manifesti.
Tomaso Montanari, Firenze-Siena-Porto Ercole, luglio 2022
Introduzione di Cassandra muta, 2017
Be’, sai, Cassandra ha una certa fama. Non è poi così male soccombere combattendo come l’ultima persona che dice una verità spiacevole. Ricordiamo Cassandra, ma nessuno ricorda quale fosse la sua verità spiacevole. D’accordo. La verità spiacevole, nella maggior parte dei luoghi, è di solito che ti stanno mentendo. E il ruolo dell’intellettuale è tirar fuori la verità. Tirar fuori la verità, e poi spiegare perché è proprio la verità.
Tony Judt, intervistato da Th. Snyder, Novecento, 2012
Muta, sul carro del vincitore che l’ha fatta schiava. È così che Cassandra entra in scena nell’Agamennone di Eschilo.
Nel ciclo dei poemi omerici, la principessa troiana, invece, parla. Ella ha, infatti, un terribile dono, che cerca di condividere con la comunità: vede in anticipo i disastri futuri, ma non viene ascoltata. È Cassandra che prova inutilmente a convincere i suoi concittadini a non portare dentro le mura di Troia il cavallo di legno lasciato dai greci sulla spiaggia. In un affresco realizzato intorno al 60 dopo Cristo nella Casa del Menandro, a Pompei, vediamo Cassandra che cerca di frapporsi fisicamente all’entrata del Cavallo in città: sul piano formale questa immagine può ricordare la celebre fotografia del cosiddetto «rivoltoso sconosciuto», scattata in piazza Tien An Men a Pechino il 5 giugno del 1989. Lì un singolo studente si erge contro una colonna di carri armati. Ma mentre questo solitario eroe interpreta i sentimenti dell’immensa comunità di manifestanti che lo circonda, nella pittura pompeiana Cassandra è contrapposta a una folla che la pensa all’opposto, e inneggia al Cavallo. Una folla che, letteralmente, la toglie di mezzo, facendola spostare dalla traiettoria che quell’enorme dono dovrà percorrere per entrare in città. Cassandra parla, e dice la verità: ma non viene creduta. Anzi, viene percepita come un intralcio. Una sacerdotessa del no, del «non si può», del «non si deve».
Il dono maledetto di Cassandra
Invece, quando il potere si impadronisce di lei, Cassandra tace. È per questo che ho scelto di intitolare al silenzio di Cassandra sul carro del vincitore questo libro dedicato al silenzio del pensiero critico nell’Italia di oggi.
Naturalmente gli intellettuali moderni non sono profeti, o veggenti. Ed è semmai la figura di Socrate – con la sua suprema, drammatica capacità di fare esplodere la contraddizione, paradossale quanto insanabile, tra la parresìa (il dire la verità) e la democrazia – il paradigma più carico di futuro che ereditiamo dalla cultura classica, in fatto di intellettuali.
Ma, su un piano profondo e suggestivo, la storia di Cassandra com’è raccontata da Eschilo aiuta a cogliere alcune caratteristiche della condizione dell’intellettuale. Cassandra, bellissima, è desiderata da Apollo, che la investe con la sua irruenza di divino lottatore. La assedia, la forza ad accettarlo. Cassandra inizia a concedersi, e Apollo in cambio le fa subito dono della profezia. Ma a quel punto Cassandra cambia idea: non si concede del tutto, resta vergine e si nega al dio. Il quale, colmo d’ira e di sdegno, la maledice (sputandole in bocca, secondo una significativa variante tramandata da Servio nel suo commento all’Eneide): potrà continuare a vedere il futuro, ma nessuno le crederà. Cassandra non è esattamente una sacerdotessa, non essendo del tutto consacrata al dio. Ma non è nemmeno del tutto parte della comunità: il dono maledetto che ha ricevuto la rende scomoda, imbarazzante, errante col corpo e con la mente. Non è del tutto con il dio, non è del tutto con gli uomini: è capace di vedere la verità, e anche di avere il coraggio di annunciarla. Ma non ha il potere di essere creduta.
La scienza come sacerdozio
In modo certo arbitrario, ho sempre letto questa vicenda come una impressionante rappresentazione della condizione dell’intellettuale moderno nella sua declinazione forse più interessante: quella dello studioso, dello scienziato, che è anche, appunto, intellettuale pubblico. Apollo è la conoscenza, la scienza che ti prende come una vocazione: che ti strappa al mondo, e ti vorrebbe possedere, per così dire, in esclusiva. La scienza come sacerdozio, come monachesimo: che ti innalza, e ti separa dalla vita della comunità. Ebbene, Cassandra è chi accetta la vocazione, e dedica la propria vita allo studio: ma non accetta il sacerdozio, fermandosi un attimo prima. Chi prende il sapere, ma non accetta di darsi fino in fondo: chierici, ma non monaci. Chi vuole rimanere nel mondo, e condividere quella conoscenza con tutti. La maledizione, lo sputo di Apollo nella bocca, è la condanna a non appartenere fino in fondo né alla scienza, né al mondo: è la condanna a non essere “di nessuno”. Questo è vero per quanto riguarda il campo d’azione dell’intellettuale. La scienza, mai come oggi, richiede una estrema specializzazione. Che rischia di sterilizzare il senso critico e paradossalmente anche l’attitudine alla ricerca, serrando chi la pratica in un settore sempre più ristretto:
più ci si avvicina ai massimi livelli del sistema educativo, più oggi si è costretti entro un campo del sapere relativamente angusto. Non è evidentemente interesse di nessuno screditare la competenza di per sé, purché non si consideri tale quella acquisita escludendo dal proprio orizzonte qualsiasi cosa non rientri in senso stretto nel proprio ambito specifico – poniamo: gli esordi della poesia d’amore vittoriana – o sacrificando la cultura generale a un ben preciso assieme di fonti convenute e idee canoniche. Il prezzo, in tal caso, è francamente troppo alto.
E.W. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere (1994), Feltrinelli, Milano, 1995, p. 85
La solitudine della verità
Ma è anche vero su un piano esistenziale, e sociale: alludo alla solitudine di chi dice la verità. All’impossibilità di “appartenere” fino in fondo a un gruppo o a una comunità. Perché la critica, inesorabilmente, separa: «Chi dice il vero non potrà avere riparo né focolare e neppure patria: è l’uomo dell’erranza, è l’uomo della fuga in avanti dell’umanità» (M. Foucault, Il coraggio della verità. Il governo di sé e degli altri)
Dire la verità lega alla politica, intesa come arte del costruire la polis, la comunità: ma, al tempo stesso, non si può fare politica attiva dicendo la verità.
«Che cos’è la verità?», chiede Pilato a Gesù – la battuta più sottile di tutti i tempi, secondo Nietzsche. Commentando questo passo cruciale per la storia della cultura occidentale, Giorgio Agamben ha citato la risposta che Gesù dà a Pilato non nei vangeli canonici, ma nell’apocrifo Vangelo di Nicodemo (colui che seguiva Gesù in segreto, non avendo il coraggio della verità): «Tu vedi come coloro che dicono la verità sono giudicati dai poteri terreni». E anche oggi vediamo come il potere – ogni potere, di ogni colore e di ogni grandezza – giudica e tratta chi dice la verità.
Sono consapevole che «il dibattito tra intellettuali sugli intellettuali, cioè su se medesimi, non ha tregua» (N. Bobbio, Il dubbio e la scelta. Intellettuali e potere nella società contemporanea). E che, di conseguenza, «gli scritti sugli intellettuali, sulla loro funzione, sulla loro nascita e sul loro destino, sulla loro vita morte e miracoli sono tanti che solo la memoria di un computer potentissimo potrebbe registrarli tutti». E, ancora, che, almeno dal libro di Julien Benda del 1926 sul “tradimento dei chierici”, «gran parte della controversia sull’etica degli intellettuali si muove tra questi due termini: tradimento e diserzione». Ma è inevitabile che sia così: il continuo rinnovamento del pubblico e collettivo esame di coscienza celebrato dagli intellettuali si deve al fatto che le domande centrali che dobbiamo porci «sono domande cui nessuno può dare una risposta definitiva»: «la risposta dipende sempre dalle circostanze e dalla interpretazione che ognuno dà delle medesime circostanze». Ecco la prima di queste eterne domande: è giusto schierarsi? E la seconda: se sì, da che parte?
Nelle pagine che seguono vorrei provare a porre di nuovo questa domanda, nei termini imposti dall’Italia di oggi, in quelli comprensibili alla nostra generazione: esaminando la condizione, le occasioni, le prospettive delle Cassandre nell’Italia di oggi.
Il filo conduttore è una domanda: qual è il ruolo, quale lo spazio, del pensiero critico nel suo rapporto con il potere, con la comunità della conoscenza, con la comunicazione, con la scuola, con quella che chiamiamo “cultura”? Le risposte che proverò a dare sono orientate sulla bussola di un’affermazione di Norberto Bobbio: «il primo compito degli intellettuali dovrebbe essere quello di impedire che il monopolio della forza diventi anche il monopolio della verità».
E, dunque, la questione centrale è questa: quale può essere il ruolo della critica in un’Italia senza politica, ma dominata dal marketing, dallo storytelling, e dalle strategie di comunicazione – cioè dai tanti, complicati e ipocriti, sinonimi della parola “menzogna”?
In copertina, illustrazione di Dalia Del Bue