La storia è nota: a Sapri, nel Cilento, è stata inaugurata una statua in bronzo raffigurante la figura della Spigolatrice di Sapri, protagonista dell’omonima poesia di Luigi Mercantini; la donna viene raffigurata in una posa provocante, (s)vestita di un drappo succinto e aderente sulle natiche che nulla lascia all’immaginazione.
Una figura sessualizzata in maniera talmente forzata e fuori contesto – le spigolatrici non potevano vestire certamente in questo modo, tantomeno la spigolatrice di Sapri che è emblema della liberazione dalla servitù per combattere l’esercito borbonico – da aver indotto le parlamentari del PD a scrivere una nota congiunta in cui denunciano il sessismo tossico che questa statua sembra trasmettere.
Di corpo e di sessualizzazione della figura femminile nell’arte parla Tomaso Montanari nel capitolo La Maddalena penitente e la rivincita del corpo nel volume Arte è liberazione, di cui qui sotto è riportato un estratto.
La Maddalena penitente e la rivincita del corpo
bellezza è vita
La Maddalena di Canova sembra fatta apposta per smentire gli stereotipi dei manuali di storia dell’arte: che ce lo presentano come lo scultore che taglia i ponti con la grande stagione del barocco, e attacca sulla storia dell’arte una nuova etichetta, quella del neoclassicismo.
Tutto vero, ma anche no. Nel senso che ciò che ci immaginiamo come una rottura improvvisa e meccanica, come una contrapposizione ideologica e netta fu in realtà (come quasi sempre nella vita) un trapasso lento e graduale, pieno di ripensamenti e dubbi, di accelerazioni e ripiegamenti. La Maddalena, l’opera forse più barocca di Canova, rappresenta esattamente questa osmosi, questa fluidità.
L’artista scelse da solo il tema di questo marmo «magico», come fu definito quando arrivò a Parigi. E scelse un tema inconsueto, ai suoi tempi e per la scultura. Un tema invece carissimo a Bernini. E proprio Bernini, il mago del barocco, è il modello dichiarato a cui Canova si ispira: la croce di bronzo rompe il biancore del marmo proprio come aveva fatto Bernini nelle tombe papali in San Pietro, e le lacrime di marmo che sgorgano dagli occhi di Maddalena sono le stesse che, centottant’anni prima, erano uscite dagli occhi di Proserpina rapita da Plutone (nel gruppo oggi a Villa Borghese). Canova sfida Bernini sul suo territorio: quello della sensualità di un marmo reso morbido e palpitante come la carne, capace dunque di entrare in risonanza con l’anima di chi guarda. E Canova, come Bernini, pianificò attentamente la situazione in cui la sua scultura sarebbe stata vista: il contesto, o il set teatrale se preferite. La Proserpina fu scolpita per il giardino di una villa romana, che evocava la Sicilia verdissima in cui è ambientato il mito greco del suo rapimento. Invece la Maddalena venne esposta in una stanza ricoperta di seta nera, con due lampade di alabastro che diffondevano una luce soffusa, a ricreare l’atmosfera della grotta provenzale in cui, secondo la tradizione, Maddalena si ritirò a pregare e a espiare la vita dissoluta che le venne attribuita fondendo varie figure evangeliche in un unico personaggio. Ma uno specchio posto dietro la statua mostrava ai visitatori la schiena sensualissima della santa, e anche un po’ del fondo di quella schiena: così dimostrando che gli ospiti (naturalmente maschi) del conte Sommariva, che la possedeva, apprezzavano la prima vita di Maddalena almeno quanto la Chiesa la esaltava per la seconda.
E qua ci chiediamo: ma Canova, capace di contraddire gli stereotipi della storia dell’arte che lo studierà, era invece del tutto vittima degli immortali stereotipi che condizionano lo sguardo maschile sul corpo della donna? Che lo fanno, cioè, uno sguardo proprietario e rapace?
Tentare di rispondere a questa domanda significa affrontare di petto e senza possibili nascondigli la questione dell’arte, del suo rapporto con la società: della sua libertà, e per l’appunto della sua capacità di liberazione. Non c’è dubbio che, con questa sensualissima Maddalena, Canova volesse andare incontro alle consolidate aspettative dello sguardo maschile. L’ambiguità tra pentimento religioso e allettamento dei sensi, tra lacrime e corpo quasi nudo era irresistibile, e una plurisecolare forza d’inerzia trascinava Canova a soddisfarlo. Ma – e questo è il punto – i grandi artisti danno alla società del loro tempo più di quello che essa chiede. Più di quello che può capire. E spesso anche più di quello che loro stessi sono in grado di comprendere razionalmente. Saranno solo gli occhi e i cuori delle generazioni successive a intendere fino in fondo il senso delle opere degne di continuare a essere guardate. Guardando la Maddalena di Canova, io ho sempre sentito – in un modo forse oscuro e involuto – che essa dicesse «il corpo importa!». Un cortocircuito esegetico ha unito in un’unica persona la Maddalena prostituta e la Maria di Magdala sorella di Marta e Lazzaro, amica di Gesù. L’apostola degli apostoli: colei che annuncia ai Dodici la resurrezione. Ebbene, laddove i contemporanei di Canova vedevano in questa statua soprattutto la prima, la puttana redenta, oggi sentiamo invece con forza la seconda.
Quando Gesù risorto la incontra nel giardino dove era stato sepolto, in un primo momento lei non lo riconosce, trasfigurato dal passaggio dalla morte alla vita. Gesù le chiede: «Chi cerchi?». È un dialogo calcato sulla ricerca tra gli amanti del Cantico dei Cantici, e appena Maria lo riconosce, Gesù le dice «non mi toccare». Cioè: non abbracciarmi, come avresti fatto fino a ieri. Io sono risorto, sono diverso. Segno evidente che il rapporto tra Gesù e Maddalena era un rapporto anche fisico: non nel senso di sessuale (come vorrebbero le caricature guardonesche alla Codice da Vinci), ma nel senso di una amicizia fatta anche di abbracci. Gesù mangiava e beveva, stava a tavola con i suoi amici: viveva la vita umana con pienezza. Dopo la resurrezione, gli Apostoli lo trovano mentre arrostisce del pesce. Il corpo, dunque: quello del Cristo, e quello di Maddalena. Non come oggetto di un desiderio senza amore, ma come soggetto di una vita riconciliata con il creato. Il corpo come bandiera della contestazione della morte. Il corpo vivo: nella sua bellezza davvero divina.
L’immagine in apertura è un’elaborazione della foto di Mongolo1984 – Opera propria, CC BY-SA 3.0