Editoriale

La scuola riapre, speriamo di cavarcela

Banchi di scuola

11 milioni e mezzo di mascherine, ogni giorno.
2 milioni e mezzo di banchi monoposto, entro il 31 ottobre.
200.000 precari, da nominare il prima possibile.
La scuola italiana è oggi descritta utilizzando cifre a molti zeri.

La più importante, però, è un’altra cifra a molti zeri: quella che ci racconta di un pacifico esercito di dieci milioni di persone – studenti, insegnanti, personale ATA – che il 14 settembre varcherà i portoni delle scuole e inizierà a scrivere la storia dell’anno scolastico 2020-2021.  Sarà un anno differente da tutti quelli che lo hanno preceduto, compreso quello appena concluso. A sua volta, unico e, si spera, irripetibile.

Scuola e università: due binari separati?

Nel bene e nel male la scuola si è conquistata il centro della scena, relegando l’università dietro le quinte. Eppure, anche l’università riapre i battenti in questi giorni e, pur se può contare su una maggiore flessibilità organizzativa, determinata dall’autonomia e dall’età degli studenti, meriterebbe più attenzione, soprattutto per quanto riguarda l’accoglienza delle matricole. E, invece, l’adozione di un sistema misto, cioè basato sull’alternarsi di lezioni in presenza e a distanza, con una assai probabile prevalenza delle seconde almeno nel primo semestre, non ha suscitato grandi discussioni. Complice anche la presenza di due differenti ministri, scuola e università viaggiano ormai su due binari scarsamente comunicanti, mentre invece sarebbe più opportuno considerare il sistema di istruzione e formazione come un sistema unitario.

Oggi, invece, si parla quasi esclusivamente dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze che il 14 settembre torneranno sui banchi di scuola. Con non poche eccezioni, perché alcuni sono già rientrati: gli allievi che devono frequentare i corsi di recupero e quelli che vivono in Alto Adige, dove le lezioni sono già iniziate. E altri studenti dovranno ancora aspettare perché abitano in una delle sette regioni in cui la scuola riaprirà in una data differente, fissata, prevalentemente, dopo lo svolgimento delle elezioni.

La riapertura della scuola, fra sollievo e terrore

Il paese sta vivendo l’appuntamento della riapertura con un duplice sentimento: sollievo e apprensione.

Sollievo per la ripresa di un ritmo di vita normale che tocca direttamente ben più di un terzo della popolazione italiana, se si considerano anche le famiglie, e che indirettamente si riflette su tutto il paese. Anche se non sempre positivamente, se si pensa, ad esempio, agli effetti sull’uso dei trasporti pubblici.

Apprensione basata su dati oggettivi che parlano di una malattia contagiosa ben lontana dall’essere sconfitta e, forse, anche amplificata dai messaggi, non sempre univoci, che, attraverso i media, la comunità scientifica lancia quotidianamente.

L’apprensione dovrebbe trovare una prima risposta nel doveroso rispetto delle Linee guida per la ripresa, scritte dal Miur sotto dettatura del Comitato Tecnico Scientifico, e delle specifiche disposizioni stabilite regione per regione.  Difficile prevedere come e quanto tutte queste regole modificheranno la vita di studenti e genitori.

Due cose sembrano però certe. A scuola si starà, soprattutto alle superiori, parecchie ore di meno e le famiglie avranno non pochi nuovi compiti, che andranno ad aggiungersi alla mole di quelli già esistenti. I genitori dovranno fare molte cose, tra le quali, per citare solo la più semplice, misurare ogni mattina alla prole la temperatura che, ad esempio in Piemonte, dovrà anche essere riportata sul diario degli alunni. E poi organizzare gli ingressi scaglionati, accorrere a scuola in caso di allarme, fare fronte alle quarantene e l’elenco non è certamente completo.

Saranno molti i momenti in cui parecchi genitori benediranno di aver compiuto la scelta del figlio unico, così diffusa da relegare il nostro paese a un livello bassissimo nelle statistiche sulla crescita della popolazione. Ma saranno molti anche  i momenti in cui la presenza femminile nel mondo del lavoro sarà ulteriormente messa in discussione, aggravando un ritardo culturale e sociale così profondo da relegare il nostro paese, anche in questo caso, ai livelli più bassi delle statistiche europee.

Guardando l’Europa

Già, l’Europa. Poteva essere considerata una risorsa non solo economica, anche se è legittima la soddisfazione per i fondi che ci sta mettendo a disposizione. Sarebbe stato opportuno, forse, gettare uno sguardo un po’ più attento alle soluzioni adottate al di là dei nostri confini. Non basta sottolineare che in Francia e Germania – per citare i due casi più noti – alcune scuole hanno dovuto chiudere, spesso dimenticando di precisare che si tratta di poche decine di istituti sulle decine di migliaia che sono già, talvolta da mesi, aperti. E, se è pur vero che è difficile paragonare sistemi scolastici che sono anche il frutto di differenti scelte degli Stati in termini di risorse impegnate, ci si poteva utilmente, e anche un po’ umilmente, misurare con le soluzioni adottate dagli altri paesi. Magari persino copiando qualche cosa anche se ciò poteva implicare l’abbandono dell’atteggiamento da primi della classe caro alla comunicazione governativa.

Non solo comunicazione

Dal 14 settembre in poi, comunque, non sarà più un problema di comunicazione, o, almeno, non solo di comunicazione. Ogni giorno ci troveremo di fronte a problemi reali che dovranno trovare soluzione in scelte assennate e condivise.

Il governo deve porsi in ascolto costante degli allievi, degli insegnanti, delle famiglie. Le scelte politiche devono essere pensate e attuate aprendosi sul mondo, non chiudendosi nelle stanze ministeriali o negli studi televisivi.

Senza mai dimenticare che molto dovrà essere fatto per recuperare le disuguaglianze che, in questi mesi, sono andate ad accrescere quelle già presenti nelle realtà più disagiate. Verso gli alunni in maggiore difficoltà – sia essa fisica, psichica o economica – lo Stato italiano ha un debito e deve pensare a come saldarlo con l’aiuto di tutti.

Guardiamo alla Costituzione

La Costituzione, come sempre, deve costituire il punto di riferimento.

Il diritto alla salute e il diritto all’istruzione sono, nella nostra legge fondamentale, affermati in articoli posti l’uno vicino all’altro: nel 32 il diritto alla salute; nel 33 e nel 34 il diritto all’istruzione. Tutti e tre hanno nei Principi Fondamentali, in particolare nel secondo comma dell’articolo 3, la loro radice:

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana, secondo comma

Il rispetto di questi due diritti fondamentali – senza squilibrare l’azione a favore dell’uno o dell’altro – deve essere la stella polare dell’azione dello Stato, perché sono entrambi i pilastri di una società più giusta e più solidale.

Il lavoro da compiere è estremamente complesso. Ma dal fatto che esso sia svolto bene dipende il futuro dell’Italia e il presente di più di un terzo dei suoi cittadini.

E, questa volta, si deve proprio cercare di non sbagliare.

Chiara Acciarini

PER APPROFONDIRE

Maria Chiara Acciarini si occupa di scuola da sempre, come docente, come dirigente scolastica e anche nella sua attività parlamentare.

Per Edizioni Gruppo Abele ha scritto, insieme alla collega e amica Alba Sasso, Più scuola, per tutte e tutti, uscito nel 2019.

Sul tema del diritto alla sanità pubblica consigliamo anche: Nerina Dirindin, È tutta salute. In difesa della sanità pubblica.

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