Questo editoriale, a firma della docente di Filosofia politica Valentina Pazé, è una rielaborazione dell’originale pubblicato il 25 ottobre su Volere La Luna
È giusto ricorrere al diritto penale – in particolare, alla cosiddetta Legge Scelba – per contrastare e sciogliere i partiti di ispirazione neofascista? O ci sono altre modalità per rispondere democraticamente agli assalti dello stato di diritto che i fatti del 9 ottobre – il blitz dei militanti neofascisti alla sede CGIL di Roma – hanno pericolosamente rimesso sotto la lente dell’opinione pubblica?
Democrazia a rischio. Come proteggerla?
di Valentina Pazé
I recenti, gravissimi, episodi squadristici che hanno avuto come obiettivo la sede della CGIL a Roma, così come le inchieste che hanno fatto emergere la contiguità tra destra “istituzionale” e un’inquietante “lobby nera”, hanno contribuito ad attirare l’attenzione sulla persistenza, e la crescita, nel nostro Paese di sentimenti, pulsioni, forze politiche di ispirazione fascista. Come contrastarle, tenendo conto per un verso dei principi costituzionali, per altro verso di ciò che sarebbe politicamente più giusto, ed opportuno?
Verso una democrazia protetta?
Undici giorni dopo i fatti di sabato, il Senato ha approvato un ordine del giorno presentato da PD, M5S, Leu e Iv che chiede lo scioglimento di Forza Nuova, ai sensi della legge Scelba, e una mozione firmata dalla destra che invita ad adottare «ogni misura prevista dalla legge per contrastare tutte – nessuna esclusa – le realtà eversive». La direzione verso cui vanno simili richieste è in linea con una tendenza che è venuta rafforzandosi nel nostro Paese a partire dagli anni Novanta (dalla legge Mancino all’introduzione dell’aggravante di negazionismo): quella verso una forma di “democrazia protetta”, o “militante”. Un modello che nasce in Germania, non a caso, all’indomani della seconda guerra mondiale, in risposta a interrogativi drammatici e pressanti: come impedire che gli anti-democratici si servano delle libertà costituzionali per sovvertire e abbattere le istituzioni democratiche? Come scongiurare il rischio che un nuovo partito nazista si organizzi, si rafforzi e conquisti il potere sotto l’ombrello protettivo delle istituzioni democratiche, per poi sferrare un attacco frontale nei loro confronti?
Costituzione tedesca e Costituzione italiana
Una prima risposta a questi interrogativi si trova nella Legge fondamentale tedesca, che proibisce non solo «le associazioni i cui scopi o la cui attività contrastino con le leggi penali», ma anche quelle «dirette contro l’ordinamento costituzionale, o contro il principio della comprensione fra i popoli» (art. 9); punisce con la perdita dei diritti fondamentali chiunque «per combattere l’ordinamento costituzionale democratico e liberale» abusi delle libertà di espressione, di stampa, di insegnamento, di riunione, di associazione e di altri diritti costituzionali (art. 18); dichiara incostituzionali tutti i partiti che «per le loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti si prefiggono di attentare all’ordinamento costituzionale democratico e liberale, o di sovvertirlo, o di mettere in pericolo l’esistenza della Repubblica federale di Germania» (art. 21, poi parzialmente modificato).
Niente di paragonabile si trova nella Costituzione italiana dove, a parte la XII disposizione transitoria e finale che vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista», la disciplina delle libertà di pensiero, riunione e associazione non contempla divieti relativi alle finalità che i cittadini riuniti in associazioni e partiti possono prefiggersi, ma solo riguardanti il metodo con cui agiscono (A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Parte speciale, II, 1992, pp. 342 e seguenti.). Così l’art. 17 riconosce a tutti il diritto di riunirsi, purché «pacificamente e senz’armi» e prevede che le autorità possano vietare una manifestazione «soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». L’art. 18 vieta le associazioni segrete e «quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare», prevedendo per il resto che «i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale». L’art. 49, infine, nel riconoscere a tutti i cittadini il diritto di associarsi liberamente in partiti, si limita a stabilire che debbano farlo osservando il «metodo democratico».
Come rispondere all’intolleranza degli intolleranti?
Commentando questi articoli, Piero Calamandrei osservava che:
le norme sui partiti contenute nella nostra Costituzione non ammettono che l’attività democratica di un partito possa essere sindacata o limitata sotto il profilo delle sue finalità ideologiche, cioè del programma politico che esso si propone di far trionfare col rispetto del “metodo democratico”
(Questa nostra Costituzione, Bompiani, 1955, p. 100)
Di qui la sopravvivenza legale di un partito oggettivamente eversivo come il partito monarchico, che si prefiggeva niente meno che l’abolizione della forma di stato repubblicana, espressamente esclusa dalla revisione costituzionale dall’art. 139. Questa lettura della Costituzione era in profonda sintonia con la posizione di Norberto Bobbio sull’annoso problema della tolleranza nei confronti degli intolleranti:
Rispondere all’intollerante con l’intolleranza può essere formalmente ineccepibile, ma è certo eticamente povero e forse anche politicamente inopportuno. Non è detto che l’intollerante, accolto nel recinto della libertà, capisca il valore etico del rispetto delle idee altrui. Ma è certo che l’intollerante perseguitato ed escluso non diventerà mai un liberale
(L’età dei diritti, Einaudi, 1990, p. 249)
Ė da “anime belle”, oggi, nel momento in cui i valori costituzionali dell’eguaglianza e della solidarietà sono sotto attacco, e non solo da parte di chi si rifà apertamente al fascismo, riproporre l’ideale di una democrazia “non protetta” che emerge dalle pagine di Calamandrei e di Bobbio? O da quelle di Ferrajoli, sempre fermo nel ricordare «il ruolo garantista del principio di offensività», in forza del quale dovrebbero essere considerati illeciti e punibili «solo i comportamenti esteriori concretamente dannosi per le persone in carne ed ossa», con esclusione di tutto ciò che attiene a «stili di vita, credenze ideologiche o religiose, opzioni politiche o culturali» (Principia juris, Laterza, 2007, vol. II, p. 310)? Me lo chiedo, e intuisco le possibili obiezioni: «quando il gioco si fa duro, non si può sottilizzare sui mezzi»; «se le istituzioni liberali, negli anni dell’ascesa del fascismo, fossero state meno imbelli, le cose sarebbero forse andate diversamente»…
A scanso di equivoci, vorrei chiarire che quando parlo di democrazia “non protetta” mi riferisco a un modello che garantisce la massima libertà di espressione a tutte le idee e le formazioni politiche, anche quelle in contrasto con i valori costituzionali, entro i limiti prima ricordati, relativi ai mezzi con cui viene esercitata. Un’organizzazione che ricorra programmaticamente e sistematicamente alla violenza e all’intimidazione per perseguire i propri scopi non merita evidentemente nessuna tolleranza. Così come non la merita nessun atto lesivo dei diritti altrui, né un ricorso alla libertà di parola che si traduca nella commissione di reati, come la diffamazione, l’istigazione a delinquere, l’offesa alla dignità altrui.
I limiti del ricorso al diritto penale
Detto questo, i limiti del ricorso al diritto penale per contrastare la diffusione di idee e sentimenti antidemocratici mi sembrano evidenti. Non solo perché «l’intollerante perseguitato ed escluso non diventerà mai un liberale», e vestirà i comodi panni della vittima, ma perché associazioni e gruppi che vengono oggi messi fuori legge potranno domani senza troppa difficoltà rinascere e riorganizzarsi, in altra forma e sotto altro nome. Tanto più da quando il principale canale di diffusione delle idee e di organizzazione politica è diventato uno strumento difficilmente controllabile, come Internet.
Non bisogna poi dimenticare che proprio nel Paese che per primo in Europa ha imboccato la via della difesa preventiva della democrazia attraverso la messa fuori legge dei partiti “anti-sistema” (da non confondersi con il controllo esercitato ex post dalla Corte costituzionale e dagli altri organi di garanzia), questo modello ha mostrato i suoi limiti, rivelandosi incapace di contrastare efficacemente la nascita e la crescita di movimenti e partiti neo-nazisti. In Germania è inoltre accaduto che norme pensate essenzialmente per combattere il nazismo siano state usate non solo per sciogliere il partito comunista, nel 1956, ma per mettere “sotto osservazione” numerosi deputati della Linke, con raccolta di informazioni e compilazione di fascicoli personali custoditi presso il Ministero degli Interni (E. Caterina, La metamorfosi della “democrazia militante” in Germania, “Diritto pubblico comparato ed europeo”, n. 1/2018). Una circostanza che è il caso di ricordare a chi, oggi, fosse tanto ingenuo da cadere nella trappola delle destre, che rispondono alla richiesta di scioglimento di Forza Nuova chiedendo la messa al bando di tutti gli “estremismi”.
Usare le armi della democrazia
E allora, che fare per difendere la democrazia dai suoi nemici? Riprendendo le parole di Nello Rossi, rispondo: «usare le armi della democrazia» (Nello Rossi: “Sciogliere Forza Nuova per decreto? Non vedo un pericolo imminente”, Il Dubbio, 12 ottobre 2021): il ragionamento, la persuasione, il lavoro politico e culturale di contrasto alla propaganda e alle politiche ispirate all’odio, alla prevaricazione, alla menzogna.
«Nessuna libertà ai nemici della libertà» era il motto di Saint Just. Mi riconosco di più nelle parole di Hans Kelsen, figlie anch’esse di un’epoca drammatica
Chi è per la democrazia non può farsi prendere nella funesta contraddizione di ricorrere alla dittatura per difendere la democrazia. Bisogna rimanere fedeli alla propria bandiera anche quando la nave affonda
(Difesa della democrazia, in Essenza e valore della democrazia, Giappichelli, 2004, p. 89)