Editoriale

Non è un buon Natale, ma…

Non è un bel Natale.

Una guerra mondiale (dato il numero dei paesi direttamente o indirettamente coinvolti) sta mietendo decine di migliaia di vittime, distruggendo un intero paese, provocando una catastrofe ambientale e non accenna a fermarsi. È una guerra, per di più, destinata a proiettarsi in un futuro in cui sono in gioco non solo le sorti dell’Ucraina e (forse) della Russia ma gli equilibri geopolitici che caratterizzeranno il mondo nei prossimi decenni. Un mondo in cui si annunciano cambiamenti epocali, a partire dal ruolo della Cina e degli altri colossi emergenti.

A fianco della guerra, c’è una crisi profonda che si estende a più versanti tra loro intrecciati. Quello climatico e ambientale anzitutto. A parole in cima alle preoccupazioni di tutte e tutti ma privo, in concreto, di interventi incisivi al di là delle inutili proclamazioni di conferenze internazionali sempre più stanche e ripetitive, incapaci di rinunciare al mito della crescita infinita e del dio mercato anche se

le leggi della fisica e della termodinamica sono ben più robuste di quelle del Mercato e i grafici relativi al gas serra, alle temperature, al livello dei mari e così via sono molto più rilevanti e perentori che non l’andamento del Dow Jones o del Nasdaq

(come ammonisce Angelo Tartaglia nel nostro Clima. Lettera di un fisico alla politica, 2020, p. 91).

E c’è, poi, il versante sociale, specchio di un mondo in cui i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri e

tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”

(così papa Francesco, per poi concludere con la lapidaria affermazione che «questa economia uccide»: La dittatura dell’economia, a cura di Ugo Mattei, uscito per i nostri tipi due anni fa, p. 32).

Superfluo aggiungere che tutto questo accade mentre l’umanità intera non si è ancora ripresa dallo shock di una pandemia, ben lontana dall’essere definitivamente sconfitta, che ha svelato la nostra vulnerabilità e insicurezza (quando vivevamo nell’illusione che le scoperte scientifiche e le tecnologie ci avessero resi padroni dell’universo e invincibili) e si dimostra sempre di più

sentinella di cosa significa essere partecipi di una globalizzazione che entra nel quotidiano della vita e mostra la non-autonomia dei nostri processi decisionali e l’incapacità di trovare risposte adeguate in termini di sicurezza e di pianificazione

(per usare le parole di Gianni Tognoni, nel suo recentissimo La nostra salute. Promemoria controcorrente per il dopo pandemia, tra gli ultimi libri da noi pubblicati, p. 7).

Il rischio è ben descritto da Luigi Ferrajoli: «È del tutto inverosimile che otto miliardi di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità» (Per una Costituzione della Terra,  Feltrinelli, 2022). Ma, a fronte di ciò, i leader del mondo balbettano.

Non è un bel Natale.

Neppure nel nostro Paese, che, oltre a condividere i fattori della descritta crisi planetaria, è alle prese con una deriva politica e culturale senza precedenti nella storia repubblicana, in cui un Governo dalle non celate ascendenze fasciste

mentre, a parole, si autoproclama difensore della nazione intera, nei fatti opera a smaccato beneficio soltanto delle parti “amiche”, favorendo l’ingiustizia tributaria, ammiccando all’evasione fiscale, sostenendo le regioni già ricche, dimenticando la sicurezza sui luoghi di lavoro, aumentando le occasioni di sfruttamento, propugnando l’autoritarismo nei confronti dei più giovani, contrapponendo studenti meritevoli e immeritevoli, operando per la privatizzazione della sanità, annullando le politiche per la casa, reprimendo l’immigrazione con la negazione di ogni umanitarismo, osteggiando i diritti civili vecchi (la libertà di associazione) e nuovi (la libertà di autodeterminazione della propria sfera sessuale e vitale)

(Francesco Pallante, autore del nostro Elogio delle tasse, in un recente intervento su Volere la Luna).

Non è un bel Natale. Ma.

Ma guai a cedere alla rassegnazione e allo sconforto. Le difficoltà e la regressione che stiamo vivendo non sono ineluttabili ma frutto di scelte e di comportamenti individuali e collettivi. In una parola, di una cultura.

A qualcuno potrà sembrare strano ma, negli anni a venire, lo scontro sarà sempre più sul piano culturale, cioè là dove si annidano i presupposti e le motivazioni delle scelte economiche, politiche, sociali, ambientali. E, qui, nella grande storia, facciamo capolino noi con la nostra piccola storia. Piccola ma importante. Cosa può fare una piccola casa editrice – quale noi siamo – in questo contesto? Può, appunto, produrre cultura, creando una comunità coesa capace di resistere, di rischiare, di costruire. Una comunità di autori e autrici (alcuni dei quali richiamati nelle righe precedenti) e di lettori e lettrici che – speriamo – vorranno continuare a sostenerci in questo percorso difficile ma affascinante. Per rendere vivo quel Leggere bene per pensare meglio che è il nostro motto.

Livio Pepino
direttore editoriale di Edizioni Gruppo Abele

 


Foto di copertina di Amir Esrafili, via Pexel.com
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